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rivista semestrale

anno XXXVI - terza serie

numero 89

gennaio/giugno 2024

George Saunders, Dieci dicembre

[ trad. it. di C. Mennella, minimum fax, Roma 2013 ]

Definito a ragione uno dei migliori libri del 2013, Dieci dicembre, quarta raccolta di George Saunders, si configura un po’ come la summa della sua ricerca narrativa. Dominati da una ricca inventiva e una straordinaria eterogeneità stilistica e tematica, i dieci racconti presentano personaggi a un tempo marginali e megalomani, meschini e generosi, spesso costretti a lottare contro una privata ferita narcisistica o a confrontarsi con un più grande ingranaggio burocratico ed economico.

Punto di forza della raccolta è la sua capacità di coniugare un grande realismo psicologico ad ambientazioni futuristiche, eccessi surrealisti e humor nero, creando un effetto di spaesamento tragicomico. La scrittura, profondamente dialogica, propone un’alternanza continua di voci narranti, ciascuna caratterizzata da un proprio registro linguistico, e di narratori dall’io scisso, nevroticamente occupati a monologare con diverse proiezioni dell’altro. Le oscillazioni umorali, tra ingenuità, malafede e slancio altruistico sono restituite sulla pagina con un ritmo serrato: ne risultano personaggi vivi e commoventi, nei quali riescono a coesistere, creando conflitto, chiusura narcisistica ed empatia verso l’altro.

Se nelle precedenti raccolte di Saunders la critica dell’egoismo e della crudeltà umana nel capitalismo globalizzato restavano uno dei temi principali, lo scarto segnato da Dieci dicembre consiste proprio nella volontà dell’autore di includere la «valenza positiva» dei legami umani, circoscrivendo l’attimo in cui la «consueta catastrofe» potrebbe non prodursi (così l’autore intervistato da Deborah Treisman sul «New Yorker» del 24 gennaio 2013: On «Tenth of December»: an interview). L’estremo prospettivismo di questi racconti permette inoltre a Saunders di distaccarsi da quella postura più nettamente critica e morale delle precedenti raccolte, assumendo un’ottica più complessa. Non si parla, infatti, di storie che sfociano in lieti happy ending, bensì di conclusioni sul filo del rasoio: il «seme della grettezza» (Croci), la possibilità della violenza – anche quando non trasposta in atto – affiorano come una rivelazione nelle vite dei personaggi (Giro d’onore; Al Roosten; Casa). Allo stesso modo, il rovescio brutale di ogni idealistica norma morale che disciplini le “buone azioni” è mostrato in storie come Il cagnolino, Le ragazze Semplica, Fiasco cavalleresco.

Riprendendo la metafora chimica della società atomizzata, Saunders restituisce bene l’immagine degli esseri umani descritti nei suoi racconti: non tanto individui alienati e schizofrenici ma al contrario soggetti che, proprio per il loro essere imperfetti e mancanti, restano intrinsecamente sociali, costantemente in dialogo con la parola altrui, bisognosi di riconoscimento e approvazione. Da questa condizione di minorità infantile può però nascere la possibilità inversa, lasciata aperta dal racconto finale, Dieci Dicembre, una forma di cura dell’altro attraverso il riconoscimento dell’eguale imperfezione e dignità di tutti gli esseri umani («… e queste gocce di fratellanza lui non aveva il diritto – non lo aveva mai avuto – di negarle», p. 220). Come gli elettroni a «valenza positiva» i sentimenti umani restano un’eccedenza non disciplinabile in laboratorio (Fuga dall’Aracnotesta) ma che produce legami, per quanto instabili e tormentati essi siano.

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